A passeggio sulle tre grandi cime: Priaforà, Rione e Novegno
Percorso | Cerbaro – Casara Vecchia – Brutto Sojo – Passo Campedello – Priaforà – Busa Novegno – Monte Rione – Cima Novegno – Cerbaro |
Breve descrizione | Il percorso propone l’ascesa alle 3 cime più rappresentative del gruppo del Novegno. Da contrà Cerbaro raggiunge dapprima il Passo di Campedello attraverso il sentiero del Brutto Sojo, proseguendo successivamente fino allo sperone del Priaforà. Transitando nuovamente per Campedello si immette, quindi, nella Busa per intraprendere la seconda ascesa verso la panoramica vetta del monte Rione. L’ultima cima toccata è il promontorio dove è situata la croce metallica del Novegno. Di qui inizia la discesa lungo la strada forestale che percorre il versante di mezzogiorno sino alla Casara Vecchia e il Cerbaro. |
Tempo di percorrenza | 5.30 h |
Dislivello totale in salita | 1039 m |
Altitudine punto di partenza | 909 m (Contrà Cerbaro) |
Punto più elevato | 1691 m (Monte Rione) |
Difficoltà | E |
Segnavia | 435 – 455 – 400 – 433 |
Periodo ottimale | Senza dubbio è l’estate il periodo più indicato per questo itinerario classico che si svolge per buona parte su sentieri ombreggiati da frondosi boschi di latifoglie e conifere. Periodo, tra l’altro, in cui è possibile contare sulle diversi strutture di appoggio toccate durante il tragitto, che proprio in questa stagione solitamente garantiscono la migliore ricettività (Forte Rione, malga Novegno e malga Davanti). |
Come arrivare alla partenza | Contrà Cerbaro è raggiungibile dall’abitato di Schio risalendo la provinciale 65 che conduce alla frazione di Bosco di Tretto. Qui giunti si devia a sinistra seguendo la strada di collegamento con S. Caterina. Sul finire della salita si stacca sulla destra in lieve pendenza la carrareccia su cui corre il primo tratto dell’itinerario. E’ possibile lasciare l’automezzo presso l’ampio parcheggio comunale situato poco oltre l’inizio della discesa verso contrà Rossi. |
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L’itinerario
Le cime splendenti, i cieli insondabili sopra la nostra testa, gli scenari infiniti con la loro grandiosità e la loro bellezza misteriosa hanno da sempre sedotto l’umanità. Questa è la forza magnetica della montagna, che trascende l’inutile vanità del mondo, superando quei problemi che, talvolta, ci impediscono di cogliere il reale, il bello, l’infinito, l’eterno. I sentieri ci chiamano e ci invitano a percorrere, come in una sorta di purificazione, le loro trame, così distanti dalle imperfezioni del vivere quotidiano. E questo richiamo ci spinge a ritornare sulle montagne, sui pendii oltre le nuvole, sulle vette che speriamo di raggiungere, laddove i problemi lasciati a valle si fanno piccoli e banali. Talvolta, in questa lenta ascesa, capita che la nebbia avvolga i nostri passi, creando una specie di involucro che contiene i nostri pensieri, innalzando allo stesso tempo una barriera tra il mondo sottostante e il pellegrinare di chi piano piano si avvicina un po’ di più al cielo. Poi, d’improvviso, le nuvole sembrano svanire nel nulla. Una nuova luce ci investe e il contorno netto della montagna si stacca dallo sfondo terso di un cielo finalmente libero dalla foschia. La coltre di nubi, in basso, crea una barriera che separa nettamente il fondovalle dalla zona più alta della montagna, laddove svettano le cime più ardite che seducono il nostro sguardo e verso le quali, come magnetizzati, si dirigono i nostri passi. Capita, talvolta, di lasciare il parcheggio del Cerbaro e incamminarsi lungo la strada che gradualmente sale alla Casara Vecchia sotto un cielo greve di nubi che si infrangono lungo le pendici meridionali del Novegno. Il monte è nascosto alla vista dall’inconsistente grigiore delle particelle di umidità che con movimenti al rallentatore avviluppano le cime degli abeti. Una scarsa luce filtra dalla compatta coltre che domina l’intero paesaggio e si diffonde uniformemente togliendo ogni dimensione agli oggetti, che sembrano persino smarrirsi nei loro tenui colori. L’aria carica di umidità attutisce ogni suono e l’incedere avviene in un silenzio che esalta ogni piccolo rumore; gli scarponi che smuovono i ciottoli sul sentiero, il respiro di chi ci cammina a fianco, il metallico rintocco dei bastoncini telescopici che urtano il terreno. Poi, quando il sentiero si inoltra nella fitta pineta che circonda la zona della casara, la luce si attenua ulteriormente e viene vinta dalle tenebre, che si insinuano tra le folti fronde di pino. Ci accompagna il nervoso scatto della “radeta”, lo scricciolo, che con brevi voli attraversa il sentiero, mentre più in alto, lo squittio dello scoiattolo, indispettito dal nostro transito, echeggia tra i rami che sembrano un’autostrada, tanta è la sua agilità nel passare da un albero all’altro. L’odore acido della resina e degli aghi di pino cessa allorquando, abbandonata la facile strada, ci si imette nel sentiero del Brutto Sojo; allora è il profumo penetrante del fogliame di faggio depositato a strati sul terreno a diffondersi nell’aria. Il fruscìo delle foglie che si sollevano al nostro incedere si sostituisce alla secca risonanza delle suole sul fondo stradale sassoso. La salita si fa più impegnativa, con tratti dove la pendenza costringe sovente a delle pause per tirare il fiato, che pare alimentare con la sua nube di vapore acqueo la consistenza della nebbia. Poi, d’improvviso, un caldo raggio di luce si fa breccia tra l’atmosfera cinerina, uno squarcio sembra fendere il soffice tessuto di nuvole graffiato dai rami che si allungano come braccia protese. Il freddo, che fino a un attimo prima avvolgeva il sottobosco, si dissolve e ogni oggetto acquista rapidamente tonalità più calde e colori più brillanti. La metamorfosi è tanto più sorprendente perché inattesa, e l’anima partecipa felice a questo piccolo miracolo, entrando subito in sintonia con l’armonia circostante. Il passo si fa più risoluto e la fatica sembra esseri sciolta con la nebbia. Ben presto il pascolo di Campedello è raggiunto e da lì sembra che lo sperone del Priaforà si possa persino toccare. Nulla ormai si frappone alla conquista della vetta che, come un faro, guida il cammino lungo il percorso di avvicinamento all’enorme foro sulla roccia che, come un occhio vigile, sembra vegliare sulla piana di Arsiero. L’ultimo strappo corre lungo una piccola cresta di dolomia che preannuncia lo spiazzo dove è situata la grande croce. Siamo sulla cuspide e poco importano i “soli” 1.659 metri di altitudine. Da quassù, dal nostro Everest, il mondo è dominato come se si fosse sulla cupola di un ottomila. Sotto, un mare immenso di nebbia dal quale emergono a fatica i roccioni del Brazome, mentre in lontananza galleggiano le Dolomiti di Brenta e la catena del Lagorai. Più vicino il placido e rassicurante altipiano di Asiago, con le sue linee morbide e tondeggianti, mentre verso ponente il massiccio del Pasubio lotta ancora con le nubi che tentano di aggredirlo lungo le impervie vallate che solcano le sue crode rocciose. Il sole, alto sullo zenit, traccia lentamente il tempo, irradiando di una luce abbagliante lo sguardo che per un momento è tentato di sostenerlo e godere del piacevole effetto del tepore che si diffonde sulla pelle del viso. Ancorata al traliccio della croce vi è la piccola custodia in metallo contenente il diario di vetta, dove i viandanti registrano i loro pensieri, affidando alla memoria delle pagine il compito di non disperdere questo loro sentire nell’oblio di un ritorno troppo veloce alla normalità. Per lo più si trovano annotazioni di gratitudine di chi, percorrendo i sentieri che portano alla vetta, scopre un rapporto diverso con se stesso e con il mondo. E’ come se, in questo allontanarsi e innalzarsi oltre le nubi, la mente uscisse dalle proprie inquietudini e riuscisse ad andare oltre la miope percezione dei fatti quotidiani, aprendo visioni che, forse, solamente le proprietà taumaturgiche di una passeggiata al di là delle nuvole può offrire.
Il percorso
Nei pressi di contrà Cerbaro inizia la strada silvo-pastorale che percorre il versante meridionale del massiccio fino all’altopiano della Busa. L’itinerario proposto ne percorre la parte iniziale, prendendo l’imbocco della strada stessa, ben segnalato dalle tabelle CAI, alle spalle della contrada e a pochi metri dall’agriturismo posizionato di fronte al camping 3C. Il segnavia è il 433 che, con l’eccezione di alcune scorciatoie, segue il lungo e sinuoso tracciato dell’antica mulattiera. Dopo un primo tratto ai margini dei prati che digradano fino alla contrada, il percorso inizia con lieve pendenza ad aggredire le falde del Novegno, passando dapprima nelle vicinanze di un acquedotto dal quale, nelle stagioni più piovose, sgorga copioso un getto d’acqua il cui scrosciare è facilmente udibile anche dalla sottostante strada e, successivamente, nei pressi di un capanno utilizzato un tempo per la caccia con le reti (roccolo). Terminata questa prima parte dove si alternano diversi prati adibiti a pascolo, la strada entra in una folta abetaia e raggiunge, dopo alcuni tornanti, l’edificio della Casara Vecchia, oramai completamente nascosto dalla boscaglia. Naturalmente è possibile accorciare questa prima parte di percorso seguendo il sentiero 433 che, pur con un aumento di pendenza, per via più diretta, incrociando di tanto in tanto la strada, raggiunge la malga medesima. L’edifico della casara viene oltrepassato a monte, evitando la deviazione sulla destra che, in leggera discesa, conduce al cortile del caseggiato. A qualche passo ecco nuovamente la segnaletica CAI che indica, sulla sinistra, l’erta scorciatoia che, toccando via via i tornanti della carrareccia, sale con decisione le pendici del monte. Ignorata la deviazione, ci si mantiene sulla strada forestale, entro quello che pare essere un viale alberato, sino al primo tornante, dove stacca il sentiero del Brutto Sojo. “Sojo” nel dialetto locale significa roccia, quindi è vicino ad una roccia considerata brutta che transiterebbe il sentiero diretto al passo di Campedello. In verità non è così evidente, oggi che la vegetazione ad alto fusto ha coperto, di fatto, gran parte del tracciato, il passaggio nelle vicinanze di rupi o speroni rocciosi. Il sentiero corre all’interno di una bella faggeta che per gran parte del percorso nasconde la veduta sia verso valle che a monte. La pendenza in alcuni tratti è piuttosto accentuata, ma del resto i 370 metri di dislivello che separano la Casara Vecchia dal passo di Campedello vengono vinti in un tratto relativamente breve. L’ultima parte del sentiero torna a correre sul piano, prima di sbucare dal bosco in prossimità di un ex cimitero di guerra riconoscibile per un piccolo cancello che permette l’accesso ad un quadrilatero il cui perimetro è delineato da un muro a secco caduto in rovina. Si è oramai in prossimità del valico di Campedello, dove il pascolo a stento resiste all’incedere del rimboschimento. Solo la caparbia opera di chi crede ancora nell’attività pastorizia mantiene in efficienza le pozze di abbeveraggio e difende i prati dalle erbe infestanti che nel volgere di pochi anni prenderebbero facilmente il sopravvento. Il passo è crocevia di diversi percorsi. Ad esso vi si può giungere anche dal Colletto Piccolo di Velo, lungo il segnavia 455 che passa per il Brazome ed il Giove, oppure risalendo l’impervia valle del Rio, laterale della val Posina. Da qui ci si può dirigere alla conca di Busa Novegno sia lungo la carreggiata che passa per malga Campedello (come di fatto avverrà una volta rientrati dal Priaforà), sia addentrandosi verso nord nell’avvallamento di Vaccaresse, aggirando il promontorio di Cima Alta e raggiungendo l’altopiano dai margini settentrionali. L’itinerario prevede di continuare oltre il valico in direzione nord-est e intraprendere l’ascesa al monte Priaforà. Anche questa mulattiera fa parte dei lavori eseguiti nel 1916-17 per trasformare la zona in una struttura fortificata. La si percorre per poco più di un chilometro, fin quasi sotto la cima che per quasi tutto il tragitto rimane ben in vista. All’altezza del foro si abbandona la mulattiera (che conduce ad un’ampia cannoniera in galleria) e si sale a destra per un ripido tracciato raggiungendo in breve la vistosa apertura naturale che dà il nome al monte. Dal foro la vista spazia sulla conca di Arsiero, il monte Cengio e l’altopiano di Asiago. Di qui, riprendendo a procedere a sinistra senza oltrepassare il foro, si risale fin sulla dorsale che, dopo aver incrociato il sentiero 466, raggiunge la cima del monte dominata dalla croce. Il ritorno al passo di Campedello avviene per il medesimo percorso seguito all’andata. Dalla pozza antistante il monumento si prosegue verso ovest lungo la comoda carrareccia che conduce agli alpeggi della Busa, transitando per malga Campedello e Baita Baretela. Una volta oltrepassati i due edifici è possibile mantenersi sulla carrozzabile o intraprendere l’antica mulattiera militare che stacca sulla destra; in entrambi i casi si giungerà nei pressi del sacello a memoria dei caduti del Novegno. Qui, anziché intraprendere la comoda e invitante discesa che porta ad addentrarsi nel cuore dell’alpeggio dove è situata malga Novegno, occorrerà mantenersi sulla destra e percorrere il sentiero che aggira da nord la conca fino a congiungersi con la strada sterrata che sale al monte Rione (oppure può essere piacevole effettuare una leggera deviazione per visitare la vicina zona fortificata di Cima Alta). Intercettata, quindi, la carrozzabile si prosegue fino a raggiungere il promontorio dove è situato il piccolo forte del Rione. A pochi metri vi è la vetta, dalla quale è possibile godere una vista eccezionale. Verso nord ovest, oltre il monte Maggio, si distinguono il profilo delle Dolomiti di Brenta e il ghiacciaio dell’Adamello, mentre alle spalle dell’altipiano dei Sette Comuni emergono le cime dei Lagorai e delle Pale di S. Martino. Più vicino, a ponente, il maestoso massiccio del Pasubio, che verso il Novegno rivolge il sottogruppo dei Forni Alti sul quale corre la famosa strada delle 52 gallerie. A settentrione, oltre le frazioni di Posina e Castana, la Corona di S. Marco: la lunga dorsale montuosa che dallo Spitz di Tonezza, passando per il monte Toraro, giunge al Maggio e al passo della Borcola. Verso est, a chiudere la stretta valle del Posina, le pendici del già visitato Priaforà. A sud si distende placido l’altopiano della Busa, mentre in lontananza si intravede la pianura vicentina. La discesa segue per breve tratto il cammino percorso all’andata sino al primo tornante a sinistra (in corrispondenza, sulla destra, si apre l’ampio piazzale sottostante il forte), da dove, abbandonata la strada, si prende il sentiero che percorre la trincea scavata lungo la cresta che scende alla Pozza Lunga. Naturalmente è anche possibile restare sulla strada, ma il sentiero proposto è indubbiamente più panoramico e ha il pregio di mantenersi in cresta, attraversando alcune zone di indubbio interesse paesaggistico. Si percorre la dorsale scendendo rapidamente attraverso i prati fino a raggiungere la Pozza da dove, attraversata la strada che si inoltra nella Busa, si prenderà verso est il breve tratto in salita che porta a malga Davanti. Si oltrepassa quindi l’edificio mantenendo la quota e ci si avvia ad affrontare il promontorio dove è situata la croce metallica di cima Novegno. Ora si avanza a vista tra pascoli ben tenuti dove, a fine giugno, non è raro percepire il profumo vanigliato della nigritella. A fianco del traliccio eretto negli anni sessanta dal gruppo scout di Marano Vicentino si notano ancora i basamenti circolari per pezzi di artiglieria utilizzati durante la prima guerra mondiale. Il panorama, ancora una volta, è affascinante: ora, più che le vetta dolomitiche, ad impressionare è l’immensa tavola della pianura padana che si prolunga all’infinito verso est, laddove, nelle più limpide giornate, è possibile scorgere i riflessi del mare adriatico. E’ tempo di lasciare l’ultima cima e di scendere a valle, dirigendosi ad oriente, in direzione del monte Summano, lungo una carrareccia su fondo erboso che, in pochi minuti, porta ad incrociare la strada forestale che dalla conca della Busa conduce alla Casara Vecchia. Raggiunto l’ampio pianoro che funge da estremo limite dell’altipiano, il percorso inizia a scendere inoltrandosi subito nella pineta che caratterizza le pendici meridionali del Novegno. Ora non si dovrà far altro che seguire l’andamento della strada che, con comoda pendenza, lungo una serie di ampi tornanti, guadagna la località di partenza, sempre che non si preferisca abbreviare il percorso approfittando delle numerose scorciatoie che è possibile imboccare in prossimità dei tornanti che volgono a sinistra.