Itinerario: L’anello di Busa Novegno (●)

Una passeggiata in quota tra i pascoli dell’altopiano

Percorso Malga Davanti – Busa Novegno – Pozza Lunga
Breve descrizione L’itinerario esegue il periplo della Busa iniziando in quota nei pressi dell’ampio parcheggio situato a poca distanza dall’ingresso in Busa. Transita dapprima nei pressi di Malga Davanti per raggiungere la strada sterrata che corre lungo il margine meridionale della conca e seguirla sino al bivio per Campedello. Lungo il comodo e ampio sentiero che costeggia Cima Alta e il monte Vaccaresse, aggira a nord la Busa e guadagna la carrareccia che scende dal forte Rione percorrendola sino alla Pozza Lunga e il vicino parcheggio di partenza.
Tempo di percorrenza 1.30 h
Dislivello totale in salita 118 m
Altitudine punto di partenza 1484 m (Parcheggio di monte Novegno)
Punto più elevato 1590 m (Busa Novegno)
Difficoltà T
Segnavia 422 – 400
Periodo ottimale L’escursione fra tutte quelle proposte è sicuramente la più adatta ai nuclei famigliari con bambini e si presta benissimo quale ideale percorso per una piacevole passeggiata alla scoperta dei luoghi più incantevoli di questo angolo della natura. E’ l’estate, quindi, il periodo più consono all’itinerario, quando anche le numerose colonie di marmotte scorazzano tra i declivi erbosi e sono più inclini a uscire dai loro cunicoli.
Come arrivare alla partenza Il parcheggio di monte Novegno, posto alla quota di quasi 1500 metri, è raggiungibile percorrendo per 7,5 km la carrozzabile sterrata che sale da contrà Rossi, situata al culmine della strada tra le frazioni scledensi di Santa Caterina e Bosco di Tretto.

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L’itinerario

Una splendida passeggiata ad alta quota alla scoperta di uno degli angoli più affascinanti della natura dove, tra i pascoli profumati di timo, fanno capolino gli sguardi guardinghi delle marmotte. E’ questo il luogo per eccellenza del Novegno; un altipiano un po’ concavo, da cui l’appellativo di “Busa” (buca), circondato da tondeggianti promontori che sottraggono alla vista il resto del mondo. L’universo si riduce a quest’alpeggio che appare sospeso nel nulla, racchiuso dalla celeste cupola del cielo. L’ingresso in Busa costituisce sempre un momento di particolare serenità, forse per il distillato di pace emanato da quest’ambiente dalle curve morbide e rassicuranti e i profondi silenzi che sovente vi trovano dimora. Qui vi si giunge non senza fatica risalendo i ripidi pendii che lo sostengono, più aspri se si risale dal versante settentrionale, un po’ più dolci, ma pur sempre impegnativi, se si affrontano dagli altri lati. In aiuto di chi, pur non vantando un allenamento da escursionista, vuole comunque godere dell’integra bellezza di questi luoghi, vi è la carrozzabile che da contrà Rossi porta comodamente in quota e permette di avvicinarsi in auto ai margini della Busa. Tuttavia, la facilità con cui è possibile raggiungere l’altopiano non dovrebbe impigrire chi intende effettuare questa comoda escursione, ma costituire, piuttosto, un’imperdibile opportunità per trovarsi già in loco quando inizia ad albeggiare e gustare così l’emozionante momento del risveglio della natura. Così come, non più assillati dal percorso di ritorno, può diventare l’occasione per attardarsi ad ammirare, da una posizione di assoluto privilegio, il cielo infuocato del tramonto sulle Piccole Dolomiti. La stessa facilità di accesso, unitamente all’esiguo dislivello, rende questo itinerario adatto a tutti e, in particolare, ai più piccoli, cui è data così l’opportunità di un contatto diretto e ravvicinato con un ambiente naturale incontaminato. Senza dubbio destarsi quando è ancora buio e giungere sui pascoli ancora bagnati dalla rugiada, per osservare con il binocolo le marmotte uscire dai loro cunicoli, è un’avventura elettrizzante che eccita qualunque bambino e che ogni genitore dovrebbe regalare, e regalarsi, almeno una volta nella vita. Probabilmente non sarà nemmeno necessario penare per alzare i più piccoli dal letto, se saranno stati adeguatamente “caricati” preannunciando loro quello che li attende. Saranno pronti a scattare al primo richiamo, ammesso che l’agitazione li abbia davvero lasciati dormire.

E così, mentre ancora a fondovalle sonnecchia la pianura, con le sue molteplici luci tremolanti, e l’aria pungente del primo mattino pettina gli steli d’erba degli alti pascoli, ancora avvolti dalla penombra, gli scarponi, inzuppati dalla rugiada, avanzano con passo felpato verso il promontorio che dalla croce scende a malga Novegno, dove è possibile appostarsi per carpire alcuni frammenti di vita di una fra le numerose colonie di marmotte che popolano l’acrocoro sommitale del massiccio.

Nei mesi estivi, solitamente, questi mammiferi attendono i primi raggi di sole per uscire allo scoperto e iniziare la ricerca degli elementi nutritivi che permetteranno loro di accumulare il grasso sufficiente ad affrontare il lungo letargo invernale. Di primo mattino, erbe e radici sono ancora avvolti dalla rugiada ed è questa quantità d’acqua che sopperisce al loro fabbisogno idrico, dato che la marmotta non beve. Più tardi poi, quando le radiazioni del sole si faranno più vigorose, cercheranno una roccia in posizione esposta per crogiolarsi e sonnecchiare, almeno fino a quando non sopraggiungerà d’improvviso il segnale d’allarme della vedetta che annuncia un pericolo imminente. Saranno allora pronte a trovare rifugio presso una delle numerose gallerie che formano il complesso sistema di collegamenti sotterranei delle loro tane. Qualcuna, più curiosa, si attarderà nei pressi dell’ingresso, incredula e apparentemente seccata di dover interrompere la pennichella, salvo guizzare lesta entro il cunicolo al primo movimento sospetto.

Le marmotte che vivono in Novegno sono abbastanza abituate alla presenza umana e, diversamente da quanto avviene per le specie che popolano le zone più selvagge delle Alpi, sono facilmente abbordabili se ci si avvicina con cautela e se si evita di arrecare loro disturbo. Rimanere a distanza e osservarle per mezzo di un binocolo è, certamente, il sistema migliore per non invadere la loro tranquilla routine, ma vi sono alcune colonie che hanno dimostrato di non soffrire più di tanto l’invadenza saltuaria dell’uomo e che, una volta appurate le intenzioni benevoli di chi le avvicina, tornano indifferenti alle loro faccende quotidiane. Anche se inizialmente spaventate, se si ha la costanza e la pazienza di aspettare, nel giro di pochi minuti torneranno allo scoperto e, se si eviteranno movimenti bruschi, si lasceranno osservare anche da pochissimi metri.

Le più diffidenti sono quelle che si sono appostate nei pressi della croce, del monte Cimetta e del Rione, mentre più socievoli sono i nuclei che si sono stabiliti presso la strada che conduce a malga Novegno. Sorprende, talvolta, come il colore del loro manto somigli incredibilmente alle pietre che mimetizzano l’ingresso delle loro tane: viene da pensare che non sia certamente un caso, ma che vi sia un’innata capacità di rendersi invisibili, modificando le loro sembianze fino a confondersi con il resto degli elementi naturali. A dispetto poi della loro goffa costituzione, nei momenti di pericolo sanno muoversi con la rapidità e la disinvoltura di una lepre, così come possono diventare aggressive qualora una madre senta minacciata l’incolumità dei propri piccoli. Restano comunque degli animali mansueti che interpretano al meglio lo spirito del luogo, pacifico e pacato, dove pulsa lento il ritmo perpetuo degli eventi naturali che qui ritroviamo nella loro veste più genuina.

La colonna sonora che accompagna lo scorrere di questo itinerario è l’irregolare rintocco dei campanacci delle mandrie al pascolo, che riporta alle tipiche atmosfere alpestri, quando dalle aromatiche e saporite erbe della Busa si ricavava uno dei formaggi più pregiati dell’intero alto vicentino, celebrato persino da Francesco Caldogno, Provveditore ai confini della Repubblica Veneta, incaricato dalla Serenissima di elaborare, verso la fine del 1500, una relazione sulle montagne vicentine. Chi non ne fosse convinto può personalmente costatarne la veridicità, oggi come allora, approfittando, nel periodo estivo, dell’ospitalità degli allevatori di malga Novegno, dove è custodito il prezioso patrimonio di formaggi e latticini frutto di procedimenti e tradizioni rimaste inalterate nei secoli.

Il percorso

L’itinerario è semplice e non ha bisogno di molte spiegazioni. Comincia nei pressi del parcheggio in quota situato a ridosso della Busa, in corrispondenza di uno stretto varco tra il recinto in filo spinato che delimita il pascolo a nord della carreggiata. Si segue un’esile traccia in salita che attraversa i prati digradanti in fronte a malga Davanti. Si oltrepassa l’edificio e si continua verso ovest lungo la mulattiera su fondo erboso proveniente dalla carrozzabile che porta a malga Novegno, ben visibile al centro della conca. Raggiunta la strada, si rimane sulla stessa percorrendola verso destra, iniziando quindi ad aggirare da sud, in senso antiorario, la Busa. Dopo circa trecento metri è possibile imboccare sulla destra una mulattiera che si avvicina alla croce metallica situata sul promontorio che dalla pianura appare come la cima. In realtà è ben evidente, una volta che si è giunti in quota, come questa modesta sommità nasconda alla vista di chi osserva dal basso quello che è veramente il punto più elevato dell’intero complesso: monte Rione. Il vessillo in metallo è ben visibile e lo si può raggiunge facilmente seguendo a vista i diversi viottoli che si intrecciano sul comodo fondo erboso. Allo stesso modo è agevole rientrare sulla strada che aggira la Busa, se si decide di eseguire questa breve deviazione che ha il pregio di raggiungere un punto d’osservazione privilegiato sull’intero alpeggio.

Lasciata sulla destra l’ex strada militare proveniente dal Cerbaro e, subito dopo, una pineta, ricordo di un cimitero di guerra, si raggiunge un bivio dove, all’interno di uno steccato, è collocata una bacheca in legno. Ignorato a sinistra il raccordo per malga Novegno si segue la ripida via sassosa per Campedello, rimanendo sulla sinistra una volta che il percorso si divide tra il nuovo tracciato carreggiabile, che transita a fianco della monumentale ara ai caduti, e l’antico percorso in selciato che si mantiene a ridosso del bosco. Al termine della salita, prima di iniziare il breve tratto pianeggiante che prelude alla discesa verso malga Campedello, occorrerà mantenersi ancora sulla sinistra e percorrere, verso occidente, il sentiero che aggira da nord la conca sino a congiungersi con la strada sterrata che sale al monte Rione. Dopo un primo tratto in salita, l’ampio sentiero si allarga raggiungendo le dimensioni di una mulattiera e prosegue, pressoché in piano, oltrepassando la colonna monumentale posta sul piccolo passo di Vaccaresse, fino ad intercettare la carrozzabile proveniente dalla Pozza Lunga.

La vetta del Rione è a pochi minuti; basterebbe seguire per breve tratto la strada bianca che ne intaglia la china, ma l’itinerario prevede a questo punto di scendere per chiudere l’anello e terminare l’aggiramento della Busa. La pendenza è lieve e, dopo aver tralasciato una deviazione sulla sinistra che rientra su malga Novegno, si raggiunge in breve lo specchio d’acqua che caratterizza l’ingresso alla Busa. Un ultimo sguardo all’idilliaco paesaggio alpino prima di oltrepassare il cancello in metallo che impedisce alle mandrie di sconfinare oltre il pascolo.  Poi un breve tratto di strada con splendida veduta sull’alta val Leogra e sulla dirimpettaia catena delle Piccole Dolomiti prima di rientrare al parcheggio da dove ci si è avviati.

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