Il più classico degli itinerari in Novegno, ideale anche per trekking con le racchette da neve
Percorso | Cerbaro – Casara Vecchia – Busa Novegno – Monte Rione – Malga Pianeti – Contrà Rossi |
Breve descrizione | Il percorso si svolge inizialmente lungo l’ex strada militare, ora forestale, che serpeggia tra il fitto bosco di conifere che caratterizza il versante di mezzogiorno. Transitando dapprima nei pressi della Casara Vecchia, raggiunge l’altipiano della Busa accedendovi attraverso la depressione che divide il monte Cimetta dal promontorio dove è situata la croce. Aggira quindi la conca della Busa toccando la cima del Rione e scende lungo il versante occidentale sfiorando Malga Pianeti e imboccando la scorciatoia della carrozzabile che porta a contrà Rossi. |
Tempo di percorrenza | 4.30 h (calcolato in assenza di neve) |
Dislivello totale in salita | 782 m |
Altitudine punto di partenza | 909 m (Contrà Cerbaro) |
Punto più elevato | 1691 m (Monte Rione) |
Difficoltà | E |
Segnavia | 433-400-401-422 |
Periodo ottimale | L’itinerario è l’ideale per un trekking con le racchette da neve. L’inverno quindi offre emozioni inconsuete e al tempo stesse sicure, data la facilità tecnica del tracciato. In qualsiasi stagione rappresenta un percorso di facile accesso anche per i meno allenati, che potranno a piacimento accorciare il tragitto a seconda del tempo e delle forze disponibili. |
Come arrivare alla partenza | Contrà Cerbaro è raggiungibile dall’abitato di Schio risalendo la provinciale 65 che conduce alla frazione di Bosco di Tretto. Qui giunti si devia a sinistra seguendo la strada di collegamento con S. Caterina. Sul finire della salita si stacca sulla destra in lieve pendenza la carrareccia su cui corre il primo tratto dell’itinerario. E’ possibile lasciare l’automezzo presso l’ampio parcheggio comunale situato poco oltre l’inizio della discesa verso contrà Rossi. |
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L’itinerario
In una delle sue ultime apparizioni in pubblico, pochi mesi prima della sua scomparsa, il grande scrittore Mario Rigoni Stern narrando con semplicità il suo rapporto con l’ambiente montano dell’altipiano di Asiago si soffermò sulla percezione del profumo della neve, suscitando la stupita curiosità del suo interlocutore, evidentemente poco avvezzo a frequentare i sentieri di montagna.
Chi va per montagna non solo sa benissimo che la neve ha un suo particolare profumo, ma sa anche che questo profumo è diverso a seconda dell’intensità del freddo, dell’ora del giorno, dell’ambiente e di molte altre variabili che si mescolano a formare un’essenza che è davvero difficile descrivere.
Una camminata con le racchette ai piedi (le cosiddette “ciaspole”) è senza dubbio il modo migliore per immergersi nel tipico ambiente invernale alpino, in modo particolare quando ci si ritrova a tracciare per primi la pista sulla neve fresca ancora inviolata. La fatica immensa viene ripagata dalla sensazione di essere una sorta di pioniere a cui è riservata l’emozione di scoprire per primo il fascino di un paesaggio che la coltre nevosa ha reso, di fatto, totalmente nuovo e inesplorato. Mentre il respiro si fa pesante e lo sforzo di sprofondare ad ogni passo rende anche la più piccola progressione una conquista, le narici si dilatano per far passare l’aria necessaria ai polmoni sotto sforzo. E’ così che anche la più impercettibile essenza, nonostante la bassa temperatura sembri anestetizzare l’olfatto, viene nettamente percepita e collegata alle immagini che via via scorrono durante il più classico dei trekking invernali.
La salita alla Busa con partenza dal Cerbaro, lungo la comoda strada forestale che con lieve e costante pendenza percorre il versante che si affaccia sulla pianura vicentina, è senza dubbio la via più frequentata dagli escursionisti di ogni stagione, grazie alla facilità del percorso e agli scorci panoramici che offre su più punti. Proprio questa elevata accessibilità rende l’itinerario indicato anche in presenza di un’abbondante coltre di neve e ben ne sono consapevoli gli amanti delle “ciaspe”, che qui si danno spesso appuntamento per emozionanti escursioni sulla neve.
Va da sé che, anche nelle altre stagioni, il percorso offre spunti escursionistici notevoli, ma è indubbio che quando la montagna si riveste del candido mantello invernale la passeggiata assume un fascino e un sapore del tutto particolari.
Fino a qualche decennio fa alla quota di 900 metri di contrà Cerbaro, punto di inizio dell’itinerario, la consistenza del manto nevoso era di fatto garantita per una buona parte dell’inverno, cosicché chi si incamminava lungo la strada per la Casara Vecchia era costretto fin da subito ad aprirsi faticosamente un varco tra le dune che andavano accumulandosi di nevicata in nevicata. Negli ultimi anni, tuttavia, le mutate condizioni climatiche hanno comportato, anche a queste quote, inverni spesso poveri di precipitazioni e così non sempre l’emozione di un trekking sulla neve è garantita, quantomeno a queste altitudini e su questo versante meridionale del massiccio.
Se, però, si ha la fortuna di incappare in una stagione particolarmente generosa dal punto di vista meteorologico, allora pochi itinerari sapranno superare la bellezza e la magia dei luoghi che attraversa. In questo caso si potranno calzare le racchette da neve fin dai primi metri, iniziando in leggera salita lungo la carrareccia a valle dei prati che dal bosco scendono fino ai margini della contrada. Dopo un primo tratto che attraversa gli ultimi immacolati pascoli, ci si addentra in un bosco di conifere che ben presto sottrae alla vista il sottostante altipiano del Tretto e la più lontana pianura vicentina. Di tanto in tanto il bosco concede delle aperture in prossimità dei tornanti, dove una sosta consente di ammirare il panorama e di riprendere fiato. I passi si susseguono a fatica in un silenzio ovattato, ma se si è soli non sarà difficile ascoltare il sussurro del bosco dopo la nevicata. Qualche ramo, sfruttando l’elasticità del legno, scricchiola mentre riesce a scrollarsi di dosso il peso eccessivo. Altre volte la consistenza zuccherina dei cristalli scivola leggera lungo le superfici generando improvvise cascate di polvere bianca. Repentini tonfi o delicati fruscii raccontano di un paesaggio tutt’altro che immobile. Le tracce della volpe, della lepre o del camoscio rompono la superficie ghiacciata e registrano, come in un giornale di bordo, gli eventi che si susseguono nel bosco, lasciando intuire i frammenti di una natura che si trova a fronteggiare i rigori della stagione invernale.
Mentre si guadagna quota, sfilando a fianco delle fronde dei pini gravate dal peso della neve, si percepisce facilmente l’essenza della resina che si espande nell’aria pungente, tanto più intensa quanto più si innalza la temperatura in prossimità delle ore centrali delle giornate di sole.
Il clima piuttosto secco, che spesso caratterizza in inverno l’ambiente delle Prealpi venete, favorisce la limpidezza dell’aria che non di rado è tale da permettere di avvistare in lontananza la laguna di Venezia.
L’intensità della luce, parzialmente mascherata dalle zone di penombra del sottobosco, diventa d’improvviso travolgente mentre si varca lo steccato che delimita l’ingresso all’altopiano della Busa. Ora il paesaggio si fa decisamente diverso: una serie di promontori dalle linee morbide si alterna a dolci depressioni in un avvicendamento di curve concave e convesse che richiama per similitudine l’ambiente lunare. Il riverbero della luce, intensificato dai cristalli di neve, è quasi accecante e l’utilizzo di lenti protettive diventa necessario come quando si percorre un ghiacciaio.
L’ingresso in Busa coincide anche con il termine del primo e più impegnativo tratto di salita. Procedere lungo il successivo tratto pianeggiante non comporta, comunque, un dispendio minore di energie, se la pista non è battuta a dovere, e l’avanzare continua a rimanere rallentato dal fondo nevoso. Ma ecco finalmente apparire la sagoma inconfondibile di malga Novegno, incastonata nel centro del catino innevato della Busa e avvolta dal letargo invernale. Sul tetto lo strato di neve sembra quasi volerla proteggere dalle intemperie e preservarla in vista delle stagione estiva, quando i pascoli torneranno a essere popolati dalle mandrie e nell’aria risuonerà il tintinnio dei loro campanacci. Ora, invece, soltanto il vento che spira sulle dune di neve rompe un silenzio che sembra rendere ancora più immobile il paesaggio. Qualche decina di metri a lato della malga, mimetizzata tra i soffici dossi, emerge la cupola dell’osservatorio del Gruppo Astrofili, mentre dallo sfondo del cielo cristallino si stacca il profilo di Cima Alta e, verso ovest, del monte Rione, dove capeggia la sagoma del piccolo forte di vetta.
La distanza e il dislivello non sembrano eccessivi, ma, ancora una volta, l’incedere lento e impacciato rende il raggiungimento della cima una piccola conquista da guadagnarsi con fatica ma, proprio per questo, prodiga di forti emozioni.
Straordinario il panorama che si gode dalla sommità, quando nessun ostacolo impedisce allo sguardo di spaziare a 360 gradi su di un paesaggio reso ancora più affascinante dalla candida veste invernale. In lontananza si stagliano sullo sfondo le guglie dolomitiche, più vicino, invece, a testimoniare il recente passaggio di escursionisti, una sequenza di orme che graffia i tondeggianti promontori innevati della Busa, placidamente assopita nel suo lungo letargo invernale.
Il percorso
L’escursione prende inizio da contrà Cerbaro, dove comincia la strada silvo-pastorale che percorre il versante meridionale del massiccio fino agli altopiani della Busa. L’imbocco, ben indicato dalla classica segnaletica del CAI, è alle spalle dell’antica contrada, a pochi metri dal camping 3C e dall’adiacente agriturismo. Il segnavia è il 433, che, con l’eccezione di alcune possibili scorciatoie, segue interamente il lungo e sinuoso tracciato dell’antica mulattiera. Dopo un primo tratto ai margini dei prati che dal soprastante bosco scendono fino alla contrada, il percorso inizia con lieve pendenza ad aggredire le falde del Novegno passando dapprima nelle vicinanze di una vasca di raccolta dell’acqua dalla quale, nelle stagioni più piovose, sgorga copioso e risonante un getto il cui canto è facilmente udibile anche dalla sottostante strada e, successivamente, nei pressi di un capanno utilizzato un tempo per la caccia con le reti (roccolo). Terminata questa prima parte dove si alternano diversi prati adibiti a pascolo, la strada entra decisamente in una folta abetaia e raggiunge, dopo alcuni tornanti, l’edificio della Casara Vecchia, oramai completamente avvolto dalla boscaglia. Naturalmente è possibile accorciare questa prima parte di percorso seguendo il sentiero 433 che, pur con un aumento di pendenza, per via più diretta, attraversando di tanto in tanto la strada, raggiunge la malga medesima. L’edifico della casara viene oltrepassato a monte, evitando la deviazione sulla destra che, in leggera discesa, conduce al cortile del caseggiato. A qualche passo ecco nuovamente la segnaletica CAI che indica, sulla sinistra, l’erta scorciatoia che, toccando via via i tornanti della carrareccia, sale con decisione le pendici del monte. Con le ciapole ai piedi è tuttavia conveniente mantenersi sulla strada principale che, seppur più lunga, sale con una pendenza decisamente più abbordabile. Qui il bosco di abeti è imponente e lascia filtrare appena la luce. Si avanza lungo quello che sembra un viale alberato sino al tornante dove stacca il sentiero del Brutto Sojo. Anche in questo caso si persiste lungo la comoda e ampia strada forestale che sinuosa si apre un varco lungo il bosco tornato, in questo tratto, a popolarsi di specie a foglia caduca, come il faggio e il carpino. Ora i tornanti si succedono con una costante regolarità che permette di guadagnare quota e avvicinarsi senza strappi eccessivi ai margini della zona sommitale. Oltrepassato il fondo del canalone che taglia idealmente in due il bosco del versante meridionale, si giunge all’ultimo tornante prima del tratto finale che porta all’ingresso in Busa. Quest’ultimo cambio di direzione avviene proprio in corrispondenza della costola, lungo la quale corre il segnavia 422, che scende dal monte Pianeti. Vale certamente la pena di indugiare qualche minuto sulla piccola piazzola posta sul colmo deI tratto di strada che collega il tracciato appena percorso alla rotabile che proviene da contrà Rossi. Si apre qui, infatti, un balcone sulla sottostante alta Val Leogra e la zona più occidentale del Tretto, dominata dalla frazione di S. Caterina, che pare da qui di poter quasi toccare. Di fronte, l’imponente catena delle Tre Croci, del Sengio Alto e, più a Nord, parzialmente nascosto dai contrafforti del Caliano, il Pasubio. Rientrati sulla carrozzabile si torna ad immergersi tra la fitta selva di abeti e si percorre quindi l’ultimo tratto di salita che, nel volgere di una decina di minuti, immette nella conca del Novegno, oltrepassando la porta del Muccio, zona di frontiera tra il bosco e il pascolo. Un cancello in legno interrompe la lunga masièra che delimita fisicamente le due zone e il suo attraversamento marca il cambiamento improvviso del paesaggio. Ora sulla sinistra è visibile, in lontananza, la croce metallica del Novegno, mentre di fronte si allunga la strada che, insinuandosi tra le dune, porta nel cuore della Busa. La si segue fino ad intravedere l’inconfondibile edificio di malga Novegno e l’adiacente osservatorio astronomico. Si è oramai sulla carrozzabile che aggira da sud la conca e che si percorre fino a raggiungere il bivio per malga Campedello, in corrispondenza del quale è ubicata una piccola bacheca in legno.
Qui è possibile optare per una variante che si mantiene leggermente più in quota rispetto all’itinerario principale. Per chi volesse effettuarla è sufficiente seguire la mulattiera per Campedello per qualche decina di metri, fino al termine della salita. Di qui, anziché continuare per la malga, si prende, ancora in salita, il sentiero sulla sinistra che torna verso la Busa e che, dopo averne aggirato il margine settentrionale, si ricongiunge con l’itinerario principale in corrispondenza della strada che sale al monte Rione.
L’itinerario principale, diversamente, si mantiene per un tratto nel cuore profondo della Busa: oltrepassato il bivio per Campedello, lascia quasi subito la stradina sulla sinistra che porta a malga Novegno, salendo gradualmente in direzione del Rione. Si prosegue su fondo piano, fiancheggiando dapprima un ampio bacino artificiale per la raccolta dell’acqua piovana e, successivamente, i ruderi di un edificio militare. Intercettata la carrozzabile proveniente dalla Pozza Lunga (lo specchio d’acqua situato all’ingresso della Busa), si prosegue sulla destra mantenendosi sulla strada che, dopo alcuni tornanti, giunge sul promontorio dove è situato il piccolo forte del Rione. A pochi metri vi è la vetta, dalla quale è possibile godere di una vista eccezionale. Verso nord ovest, oltre il monte Maggio, si distinguono il profilo delle Dolomiti di Brenta e il ghiacciaio dell’Adamello, mentre alle spalle dell’altipiano di Asiago emergono le cime dei Lagorai e delle Pale di S. Martino. Più vicino, a ponente, il maestoso massiccio del Pasubio, che verso il Novegno rivolge il sottogruppo dei Forni Alti sul quale si incide la famosa strada delle 52 gallerie. A settentrione, oltre le frazioni di Posina e Castana, la Corona di S. Marco; la lunga dorsale montuosa che dallo Spitz di Tonezza, passando per il monte Toraro, giunge al Maggio e al Passo della Borcola. Verso est, a chiudere la stretta valle del Posina, le pendici del Priaforà che costringono il torrente in una gola a gomito prima di potersi buttare sulle acque dell’Astico, oltre il paese di Arsiero. A sud si distende placido l’altopiano delle Busa, mentre in lontananza si intravedono le foschie della pianura vicentina.
La discesa segue per breve tratto il cammino percorso all’andata sino al primo tornante a sinistra (in corrispondenza, sulla destra, si apre l’ampio piazzale sottostante il forte), da dove, abbandonata la strada, si prende il sentiero che percorre la trincea scavata lungo la cresta che scende alla Pozza Lunga. Naturalmente è anche possibile restare sulla strada, ma il sentiero proposto è indubbiamente più panoramico e ha il pregio di mantenersi in cresta, attraversando alcune zone di indubbio interesse paesaggistico. Si percorre la dorsale scendendo rapidamente attraverso i prati fino a raggiungere la Pozza da dove, attraversata la strada che si inoltra nella Busa, si prenderà verso est il breve tratto in salita che porta a malga Davanti. Anche in questo caso nulla vieta di seguire la strada che, dalla Pozza Lunga porta al piazzale del Novegno e quindi a contrà Rossi, tuttavia la deviazione per malga Davanti permette di gustare ancora un’ultima volta il panorama sulla bucolica conca della Busa. Dalla malga si scende a vista sino al parcheggio del Novegno, da dove, in corrispondenza della curva di ingresso, stacca il segnavia 422 che, percorrendo la costola del monte Pianeti, scende su uno degli ampi tornanti della strada carrozzabile proveniente da contrà Rossi. Il sentiero qui si sovrappone per un centinaio di metri alla strada stessa per poi svoltare a valle in corrispondenza dell’attacco della scorciatoia per malga Pianeti. Terminati i pendii erbosi, il percorso si addentra nuovamente nel bosco di conifere e, dopo una serie di volute, raggiunge il Casòn del Metro (o baito Mufo o, più recentemente, Capozzo). Dalla piccola radura antistante il piccolo edificio è possibile scegliere tra due alternative: a sinistra il sentiero transita sotto la baita e, dopo un breve tratto in falsopiano, perde rapidamente quota attraverso il bosco misto sino al Cerbaro. Diversamente il sentiero principale scende di qualche metro prima di buttarsi comunque a sinistra e approdare a contrà Rossi, dalla quale, per breve tratto asfaltato, si guadagna il parcheggio del Cerbaro.